Non aprite quella porta IV
Colpo di grazia per una saga dalla ben nota importanza, ma anche inconcludenza vista l'abitudine a resettare la linea narrativa alla fine del primo episodio, a cui seguì una doverosa pausa di riflessione e infine la rinascita nell'era del digitale con indosso la pelle del torture porn. Ma a metà anni Novanta quel cinema doveva ancora nascere e Kim Henkel, co-sceneggiatore del primo episodio, salito sulla cattedra della regia pensa bene di guardarsi intorno e di giocare il terno al lotto dell'innovazione.Scelta disastrosa visto il risultato finale. Forse influenzato dal successo di Hellraiser, il regista lega la vicenda della famigerata famiglia cannibale ad una sorta di massoneria di Illuminati dedita al culto del dolore che muove i fili dei loro massacri. Spiegazione che snatura il significato originale della storia raccontata da Hooper, senza offrire in cambio nulla che abbia anche in misura minima la morbosità dei cenobiti di Clive Barker o l'agghiaciante metodicità della congregazione di Martyrs.Altra innovazione del regista, altrettanto tragicomica nel risultato, è un maldestro tentativo di approfondire la psicologia di Leatherface e dei suoi travestimenti. Attingendo alla reale vicenda di Ed Gein, il serial killer che ha ispirato Hooper, si allude all'abitudine di indossare pelli umane come forma deviata di travestitismo. Senza l'adeguato approfondimento psicologico, cosa difficile con un personaggio che non parla, quello che ne risulta è però una macchietta piuttosto ridicola.Un tonfo clamoroso anche in termini meramente economici, è un film sbagliato su tutti i fronti che riesce nella difficile impresa di risultare peggiore anche della maggior parte dei plagi dell'originale che si sono susseguiti negli anni.Da evitare.